Questa settimana per la rubrica Thursday Talk, proponiamo un’intervista a ruota libera con Monica Nolo, Direttrice di Confart Liguria.

 

Buongiorno Monica, Lei dirige il confidi Confart Liguria, che occupa 7 persone e ha un volume di garanzie pari a 57 milioni di euro. Sulla base di questi dati, il suo è un “confidi minore”. La domanda sorge spontanea: come ci si sente a dirigere un confidi “minore”?

Quella di rimanere un confidi “minore” è stata per noi una scelta dettata da una precisa strategia condivisa con il Consiglio di Amministrazione del Confidi. Per ben due volte, sia nel 2014 che nel 2015, CONFART aveva superato la soglia – allora pari a 75 milioni di euro – che lo avrebbe obbligato a presentare la domanda di iscrizione nell’elenco degli intermediari vigilati da Bankitalia.

Tuttavia, le analisi e gli studi condotti allora mi fecero ritenere che in Liguria non ci sarebbe stato spazio per più di un confidi vigilato e all’epoca ne esistevano già due regionali oltre a quelli operanti da regioni limitrofe. Al contrario, si sarebbe consolidato un mercato fatto di micro e piccole imprese per le quali il nostro intervento avrebbe continuato ad essere fondamentale.

Alcuni segnali facevano presagire, inoltre, l’intervento di Bankitalia, arrivato a maggio 2015, che avrebbe innalzato a 150 milioni di euro la soglia oltre la quale scattava l’obbligo di iscriversi all’Albo degli intermediari vigilati.

Infine, si cominciava già ad intravvedere un maggiore orientamento del settore bancario ad acquisire la garanzia diretta del Fondo Centrale di Garanzia.

Quello che è successo nel modo dei confidi a partire da quegli anni lo ricordiamo piuttosto bene: alcune strutture sono riuscite a consolidarsi, altre hanno cercato di recuperare efficienza attraverso percorsi di aggregazione, altre ancora sono uscite definitivamente dal mercato creando inevitabili ripercussioni negative sulla reputazione del sistema dei confidi.

Oggi, alla luce dei risultati conseguiti, possiamo affermare che il nostro confidi assunse una decisione corretta, anche se a quel tempo richiese una forte determinazione e una buona dose di coraggio.

 

La vita per un confidi minore è dura. Potete concedere solo garanzie collettive sui fidi e solo alle imprese socie e solo a loro potete offrire servizi complementari alla concessione di garanzie. Chi ve lo fa fare?

Il rispetto della nostra storia e la convinzione che oggi più che mai ci sia ancora bisogno del nostro intervento.

Non dobbiamo commettere l’errore di dimenticarci la missione con cui i confidi sono nati: quella di favorire l’accesso al credito per le imprese attraverso la concessione di una garanzia mutualistica.

A partire dagli anni ’60, si è consolidato un sistema diffuso della garanzia in cui una molteplicità di strutture, dotate di un buon patrimonio conferito dalle imprese socie (ricordo che il 50% delle risorse private di tutto il sistema dei confidi, a livello internazionale, proviene dai confidi italiani), diveniva strumento di attuazione delle politiche del credito attivate dalle amministrazioni territoriali  (Regione, camere di commercio, etc.) che, a tal fine, apportavano risorse al confidi.

La storia, anche quella odierna, dimostra come tale missione rimanga attualissima, essendo la garanzia lo strumento più efficace ed efficiente per realizzare politiche di credito pubbliche a favore delle imprese.

 

Quindi non pensa che ampliare il “recinto” normativo in cui operano i confidi minori possa rappresentare, in prospettiva, una boccata d’ossigeno per il sistema? Il gruppo di Torino Finanza, presentando la ricerca annuale sul sistema dei confidi, ha avanzato una proposta in tal senso, prevedendo la possibilità, anche per i confidi minori, di erogare micro-finanziamenti e offrire servizi di consulenza specialistica anche non finalizzati alla concessione di garanzie.

Ho trovato molto interessante e ben articolata la proposta presentata durante l’incontro.

Credo davvero che gran parte dei confidi potrebbe gestire con competenza l’erogazione di finanziamenti di piccolo importo, accompagnata da quel servizio di consulenza che già oggi forniamo alle nostre imprese associate.

Un intervento di questo tipo sarebbe, inoltre, di enorme aiuto per tutto quel sistema di micro e piccole imprese che, secondo le analisi della Banca d’Italia, da circa 10 anni vedono progressivamente ridurre la quota di credito erogato dalle banche.

 

Prima ha citato il peso crescente del Fondo centrale di garanzia che ha assunto, negli anni, un ruolo molto importante nel rapporto con le banche. Qual è il suo giudizio su questa evoluzione?

L’elemento che ha portato il cosiddetto “spiazzamento dei confidi” è stata proprio la trasformazione del Fondo Centrale di Garanzia intervenuta a partire dal marzo 2009.  In risposta alla crisi finanziaria internazionale, il governo decise di intervenire a favore del sistema bancario supportandone, in via indiretta, l’equilibrio strutturale.

Tale risultato venne ottenuto costituendo lo Stato come garante di ultima istanza a favore del Fondo: un tecnicismo che, in virtù dei regolamenti bancari internazionali, consente al soggetto che ottiene la garanzia del Fondo di non dover effettuare accantonamenti patrimoniali per il rischio di credito correlato al finanziamento garantito.

Inoltre, considerata la situazione di particolare gravità, allora si decise che il Fondo avrebbe concesso una copertura, in garanzia diretta, pari all’80% del finanziamento, quando storicamente le garanzie rilasciate dai confidi a favore delle banche erano normalmente pari al 50%.

Questa decisione eccezionale, presa in un contesto di particolare gravità, è divenuta la regola e ha progressivamente “drogato” il mercato, fornendo massivamente e a costi prossimi allo zero una garanzia “di Stato” che assorbe, appunto, l’80% del rischio legato ai finanziamenti bancari.

Detto ciò, è facile capire che oggi i confidi sono costretti a cercare una diversificazione operativa non perché manchi la richiesta del “prodotto” garanzia – tutt’altro! –  ma perché, per una precisa scelta politica, si è deciso di adottare un sistema della garanzia “centralizzato”, basato su un Fondo dotato di un potere straordinario (la garanzia di ultima istanza dello Stato), il cui costo di funzionamento è totalmente a carico delle risorse pubbliche, lasciando, però, di fatto, al “libero mercato” definire la politica di accesso al credito delle imprese.

 

A questo punto si può immaginare che non abbia accolto con piacere quanto previsto dal DL Liquidità in tema di garanzie…

Pur capendo l’esigenza di dover dare risposte in tempi rapidi ad imprese che si trovano ad affrontare una crisi di liquidità imprevedibile, trovo enormi limiti soprattutto nell’impostazione dell’intervento più pubblicizzato, ovvero il rilascio della garanzia al 100% su finanziamenti sino a 25 mila euro di importo.

Peraltro è bastato davvero poco perché le crepe emergessero: da un lato, il sistema bancario ha dovuto precisare che gli attuali regolamenti impongono, comunque, agli istituti di credito l’obbligo di effettuare un’istruttoria seppur attenuata; dall’altro, lo stesso Comitato di gestione del Fondo, in via prudenziale, ha stabilito che per fare fronte all’elevato rischio connesso a tale misura debba essere accantonata una quota di risorse pari al 30%, riducendo in misura drastica il numero totale di interventi attivabili e svuotando, di fatto, la portata dell’intervento.

 

Tirando le somme: le colpe per le difficoltà dei confidi sono da attribuire a Fondo centrale e banche? I confidi non hanno responsabilità in questa progressiva perdita di “appeal”?

Credo che avremmo dovuto essere più coraggiosi nel portare avanti un programma di “auto riforma” che, seppur non facile da far accettare per tutti i confidi, ci avrebbe fatto crescere complessivamente come sistema, facendoci riconquistare una rinnovata credibilità.

Mi auguro davvero che questo percorso possa presto riprendere, magari facilitato dall’ulteriore consolidamento che immaginiamo interverrà nel mondo dei confidi “minori” a seguito dell’entrata a regime dell’Organismo di controllo previsto dall’art. 112 del TUB.

 

Una domanda impertinente: prova un complesso di inferiorità verso chi dirige un confidi vigilato da Banca d’Italia?

Ritengo che la reale differenza fra i confidi risieda, come per le aziende, nella complessità delle singole strutture, mentre trovo poco rispondente una distinzione basata sull’organismo a cui ne è affidata la vigilanza.

Ricordo che già nel 2002, quando si cominciò a discutere la c.d. Legge Quadro dei confidi, fui una delle pochissime persone profondamente contraria alla loro trasformazione in intermediari finanziari vigilati, ritenendo che questo ne avrebbe stravolto radicalmente la natura. I favorevoli sostenevano che, assunto lo status di intermediario, il confidi avrebbe potuto sostituire il proprio rating a quello delle imprese, favorendo la concessione di credito.

Purtroppo, non si comprendeva che il giudizio emesso da un’agenzia di rating, naturalmente abituata a valutare le aziende sulla base del valore creato per gli azionisti in termini di utili, non avrebbe potuto essere positivo per un semplice motivo: i confidi non sono “imprese di mercato”.

Il confidi è un’impresa e come tale deve operare secondo principi di sana e prudente gestione, che garantiscano equilibrio economico, finanziario e patrimoniale: tuttavia, il confidi genera valore per i propri stakeholder (imprese, associazioni di categoria, Regioni, Camere di commercio, etc.) nella misura in cui adempie alla sua missione di aiutare le imprese nell’accesso al credito.

Equiparare i confidi alle banche, sottoponendoli ad una vigilanza pensata per intermediari che operano rispondendo a regole di mercato e svolgendo, al contempo, una funzione che può certamente generare rischi per l’economia del paese, significa non averne capito la peculiarità.

Ho salutato, invece, con estremo favore l’atteso avvio dell’operatività dell’Organismo di controllo sui confidi minori perché ritengo che esso rappresenti, in primis, una tutela per tutte quelle strutture che stanno operando con trasparenza e correttezza.

Essere sottoposti ad una “vigilanza” realizzata avendo, quale riferimento specifico, l’operato dei confidi potrà rappresentare un valore aggiunto per l’intero sistema, che potrà crescere e consolidarsi.

Auspico che, in un futuro non troppo lontano, possa essere affidata all’Organismo anche la vigilanza sui colleghi “maggiori”, trovando così un rinnovato equilibrio nel giudizio sul “valore” dei singoli confidi.

 

Poniamoci ora dalla prospettiva di un imprenditore. Perché le aziende associate al vostro confidi restano con voi e non cercano la copertura di un confidi vigilato? Non sarebbero più facilitate nell’accesso al credito?

I nostri associati si aspettano che noi continuiamo a fornirgli un servizio di accompagnamento nell’accesso al credito: questo significa non solo rilasciare una garanzia apprezzata dalle banche ma supportarli, altresì, con una consulenza fondamentale per le micro e piccole imprese.

Vi sorprenderà sapere che, sino a pochi mesi fa, CONFART operava rilasciando esclusivamente una garanzia sussidiaria al 50%, a valere su fondi rischi, perpetuando il modello tradizionale con cui i confidi hanno operato fin dalle origini.

Ciononostante, continuiamo ad essere il confidi con maggiore operatività in regione, probabilmente perché le banche con le quali operiamo hanno potuto apprezzare, negli oltre 40 anni di collaborazione, la solidità patrimoniale e la correttezza del confidi che ha sempre puntualmente onorato i propri impegni.

Ritengo che questa sia la migliore testimonianza che la scelta del garante, alla fine, si basa sulla valutazione circa la sua reale e storica affidabilità.

Certo, la progressiva acquisizione delle banche del territorio da parte di grandi gruppi internazionali, per definizione incapaci di operare al di fuori di schemi standardizzati, ci ha costretto, a partire dal 2020, ad adeguarci ad un mercato in cui la “normalità” è divenuta il rilascio di garanzie a prima richiesta, riassicurate e contro-garantite dal Fondo Centrale, pur ritenendo che tale operatività contenga in sé il “vizio” di origine che ho descritto in precedenza.

 

Cosa pensa della trasformazione in corso nel mondo delle BCC, tradizionali punti di riferimento dei confidi? Ritiene che possa rappresentare un ulteriore “colpo al cuore” per il vostro sistema?

Credo sia ormai del tutto evidente come i processi di aggregazione intervenuti nel mondo bancario abbiano generato strutture che hanno progressivamente allentato ed indebolito gli originari legami con il territorio.

Personalmente ritengo un errore strategico per un Paese come l’Italia, in cui è ancora diffuso un sistema di micro e piccole imprese fortemente dipendenti dal credito bancario, spingere per la creazione di grandi player che dovranno sottoporsi ad una vigilanza “internazionale” le cui regole male si adattano alle nostre peculiarità.

 

Per concludere: per molti anni Regioni e Camere di commercio hanno sostenuto in maniera importante il sistema dei confidi. I compiti del sistema camerale sono mutati con la riforma ma continua a esistere un rapporto “privilegiato”.  Secondo lei, gli enti territoriali cosa potrebbero fare per sostenere i confidi, oltre a quello che già fanno?

Scrivere un nuovo patto che metta al centro lo sviluppo e il consolidamento dei sistemi produttivi territoriali, definendo politiche di intervento finalizzate a diffondere una maggiore “cultura del fare impresa”, attribuendo ai confidi quel ruolo di supporto che da sempre svolgono a favore delle aziende.

 

Esprima un desiderio: tra un anno, che mondo (delle garanzie) vorrebbe trovare?

Considerate le grandi sfide che tutto il Paese sta affrontando a seguito della pandemia da Covid-19, mi auguro di trovare un sistema dei confidi che si sia dimostrato in grado di affiancare e supportare le imprese, come storicamente abbiamo fatto in tutte le situazioni di grave crisi affrontate negli oltre 60 anni della nostra vita a fianco delle aziende!

 

Intervista del 23 aprile 2020