L’emergenza-Covid 19 ha messo in risalto una serie di debolezze strutturali del nostro tessuto produttivo e non pochi “colli di bottiglia” del sistema creditizio che rischiano, da un lato, di ridimensionare la portata e gli effetti delle misure straordinarie messe in campo dal Governo e dalle Amministrazioni locali e, dall’altro, di amplificare oltre misura gli effetti della crisi.

Come si sa, per far fronte alla crisi di liquidità delle aziende e garantire loro un minimo di ossigeno nella fase più acuta dell’emergenza, sono state varate misure che vertono, essenzialmente, sui tradizionali strumenti del credito bancario e delle garanzie (pubbliche e dei confidi).

Poco o nulla si è fatto e detto del ruolo che la finanza cosiddetta alternativa (minibond, crowdinvesting, fondi di debito, le diverse varianti del factoring online, l’equity, ecc) può giocare in questo contesto.

È vero che il canale creditizio rappresenta ancora, di gran lunga, la fonte principale di approvvigionamento finanziario delle imprese ma è altrettanto vero che, soprattutto se si guarda alle piccole e alle micro imprese, alle ditte, alle start up, i canali di finanza alternativi hanno cominciato ad avere un peso specifico crescente e significativo.

Che fare allora per consentire a questi operatori di supportare efficacemente le imprese? E che fare per aiutare questi operatori a stare sul mercato, visto che in alcuni casi stiamo parlando comunque di start up FinTech che ancora devono consolidarsi?

La settimana scorsa, nel colloquio con Fabio Bolognini e Matteo Tarroni di Workinvoice si è cominciato a discutere di alcune possibili soluzioni, che hanno trovato riscontro in una serie di proposte che le associazioni del FinTech e delle start up hanno avanzato al Governo e al Parlamento.

Le proposte per il factoring online

Partendo proprio dal factoring online (inteso in senso lato, in cui possiamo far rientrare le diverse varianti dell’invoice trading e del reverse factoring), una delle richieste avanzate dal mondo FinTech è quella di estendere le garanzie pubbliche (Fondo centrale di garanzia e SACE) anche agli operatori attivi sul mercato delle cessioni di credito e del credito commerciale più in generale.

ItaliaFintech e Assifact si spingono a chiedere anche la creazione di un fondo di garanzia per la cessione di crediti che copra l’importo, in conto capitale, dei debiti commerciali delle imprese ceduti a banche e intermediari finanziari, riducendo tempi e costi e liberando così ulteriore capacità di credito per le imprese.

Particolarmente sentita dai gestori di piattaforme di invoice trading è poi la questione della trasferibilità dei crediti. Già negli anni scorsi era stata avanzata una proposta per rendere nulle le clausole contrattuali imposte dai committenti che vietano la cessione del credito (quindi delle fatture) da parte dei fornitori. La proposta, che finora non ha avuto molta fortuna, è stata rilanciata ora che le imprese devono fare i conti con rilevanti problemi di liquidità, legati non solo ai mancati incassi per l’emergenza-Covid ma anche alle difficoltà di riscossione delle fatture che, notoriamente, in Italia scontano tempi di pagamento molto maggiori rispetto agli altri paesi europei.

A che punto siamo con l’equity crowdfunding?

Anche l’equity crowdfunding, che è forse il segmento FinTech più regolamentato e che più di ogni altro è stato terreno di sperimentazioni normative, è al centro del dibattito post-Covid.

Due le questioni sul tappeto: la prima è quella che riguarda il target di imprese che possono utilizzarlo per raccogliere capitali. Nato per sostenere le start up innovative, ampliato successivamente alle PMI innovative e ad alcune tipologie di società di investimento, esteso da ultimo alle PMI tradizionali, il segmento equity è per ora inaccessibile alle imprese di grandi dimensioni. L’apertura del mercato anche a questi soggetti rappresenterebbe, senza dubbio, una sfida importante – o, cambiando prospettiva, una notevole occasione di crescita – per questo segmento del FinTech.  Lo standing di queste aziende e il  fabbisogno di capitali di cui sarebbero portatrici, da un lato, attirerebbe, probabilmente, categorie di investitori finora poco interessati al crowdfunding, consentendo al mercato di fare forse il definitivo salto di qualità e di consacrarsi come canale di raccolta credibile; dall’altro, imporrebbe uno sforzo organizzativo, una revisione delle regole d’ingaggio, una diversa capacità di analisi e di valutazione dei progetti e delle aziende che non tutti i gestori autorizzati possono vantare.

Potremmo trovarci di fronte a un jolly capace di sparigliare il mercato e accentuare la divaricazione tra quei gestori di piattaforme crowd capaci di lavorare con logica “industriale” e quanti, invece, sono rimasti ancorati a una visione artigianale del mercato, che è forse più vicina allo “spirito” delle origini ma che probabilmente cozza con un sistema che procede spedito verso la maturità.

La seconda questione che riguarda l’equity crowdfunding è la componente relativa al debito. Nei mesi scorsi, la Consob ha autorizzato il collocamento di minibond sulle piattaforme di equity crowdfunding limitandone, però, la sottoscrizione solo a categorie specifiche di investitori con diversi livelli di qualificazione. Non è, però, ancora consentita la libera sottoscrizione dei bond da parte degli investitori retail. Le proposte provenienti dal mondo FinTech vertono sulla definitiva liberalizzazione del mercato (mini-)obbligazionario anche ai piccoli investitori.

Sempre in fatto di investimenti, permane il punto dolente del codice fiscale per gli investitori esteri che vogliano operare in Italia su portali di equity crowdfunding. La questione, che si trascina ormai da anni, verte sull’obbligo di indicare il codice fiscale italiano per l’iscrizione dei soci che abbiano acquisito quote di SRL tramite questi portali nel Registro delle imprese. Per un investitore estero significherebbe dover svolgere tutta la trafila amministrativa per ottenere il documento fiscale prima di poter operare sulle piattaforme crowd. La proposta avanzata prevede di equiparare i gestori dei portali di equity crowdfunding agli intermediari finanziari in modo da estendere anche alle operazioni concluse tramite questi portali l’esenzione dall’obbligo di indicare il codice fiscale per gli investitori esteri.

Proposte concrete dal mondo FinTech

Italia Startup, con il sostegno di AssoFintech, Italia Fintech, Italia4Blockchain, IBAN e altre associazioni di settore ha proposto, a sua volta, alcuni interventi d’urgenza da inserire nei pacchetti di misure che il Governo sta varando in questi giorni. In particolare, queste associazioni propongono di promuovere un fondo di Venture Debt convertibile, di liquidare rapidamente i crediti di start up e PMI innovative in R&S e IVA, di emettere voucher per l’insediamento e l’accelerazione di startup presso parchi scientifici, acceleratori e incubatori italiani e di innalzare al 50% (dal 30%) lo sgravio fiscale per persone fisiche e giuridiche che investono in imprese innovative italiane. Quella di aumentare lo sgravio fiscale sugli investimenti in imprese innovative è un tema che già era stato affrontato nella precedente finanziaria ma che poi era stato abbandonato per i noti problemi di compatibilità con le norme europee.

Alcune di queste misure, che si vanno ad aggiungere alle proposte che AIFI e VC Hub, le due principali associazioni nazionali di investitori in venture capital (e private equity), avevano lanciato nelle settimane scorse per supportare le start up e consolidare le partecipazioni azionarie da parte degli investitori, potrebbero essere adottate a breve, stando alle anticipazioni fatte dall’esecutivo sui provvedimenti in via di approvazione.

 

Articolo di approfondimento del 7 maggio 2020